Corso di Recupero per Astemi #25

L'uva e il vino (Parte quinta): Come si fa il vino #1/2

La prima operazione conseguente alla vendemmia è la pigiatura dell'uva, ossia la riduzione dell'uva in mosto. La pigiatura ha lo scopo di provocare la rottura della buccia e la fuoruscita della polpa dell'acino. Solo alcune piccole aziende di carattere familiare pigiano l'uva con i piedi nudi in vasche rettangolari di legno a un solo fondo o su doppi fondi. Se si pigia su un fondo solo, il mosto va asportato subito affinché non crei ostacoli per l'altra uva. Logicamente, la pigiatura meccanica è considerata il miglior sistema e anche il più economico per una vinificazione razionale. Con i metodi più aggiornati si ottiene subito la separazione del mosto dalle scorie che sono rappresentate dai graspi, dai vinaccioli e dalle bucce, quell'insieme che forma le cosiddette vinacce.
Queste vinacce vengono fatte macerare, per un periodo più o meno lungo, in alcuni tipi di vinificazione unite al mosto nella fase di fermentazione, ma la pratica della separazione delle scorie principali, e cioè i graspi, è ormai entrata nell'uso corrente. 
Le pigiatrici sono macchine dotate di una tramoggia nella quale viene immessa l'uva da pigiare. Dalla tramoggia l'uva passa tra due cilindri scanalati i quali, ruotando in senso opposto tra di loro, eseguono un lavoro di schiacciamento degli acini. Il pigiato cade in un cilindro metallico forato che mediante un sistema rotante riesce ad eliminare i graspi che non andranno a fermentare nei tini. La buccia, i vinaccioli e il mosto liquido cadono in un tino sottostante. 
Senza addentrarci in spiegazioni troppo particolareggiate, diciamo che i sistemi di diraspatura (senza i graspi) e non diraspatura (con i graspi) presentano i loro vantaggi e svantaggi. La presenza dei graspi, ad esempio, é utile per i vini che si vogliono particolarmente tannici, colorati o aromatici, in quanto essi facilitano la solubilizzazione del tannino; ne viene anche accelerata la fermentazione stessa. 

La fermentazione 
Questa complessa operazione per trasformare il mosto in vino si conosceva fino dal tempo degli Assiri, ma furono i Romani a perfezionarla. Fermentazione viene dal latino fervére e significa bollire. Infatti assomiglia molto al sobbollimento di un liquido. Quello ottenuto dalla pigiatura si presenta torbido, denso, appiccicaticcio, di sapore dolce e nello stesso tempo acido. Viene posto a fermentare negli appositi tini, dove viene lasciato per un certo periodo di tempo. Non bisogna abbandonare il mosto in fermentazione in balia di se stesso: si potrebbero ottenere risultati disastrosi. 
Il mosto è composto da una parte liquida e da una parte solida (le bucce e i vinaccioli). Queste parti solide, avendo peso specifico inferiore al liquido, tendono a salire in superficie e quindi a separarsi dal liquido. La loro risalita é facilitata dall'anidride carbonica che rigonfia le parti solide. La vinaccia che risale in superficie e che si separa dal liquido prende il nome di «cappello». A contatto con l'aria il cappello si ossida e non bisogna permettere che questo si verifichi. Ecco perché si dice che la vinificazione, di solito, avviene a «cappello sommerso». Per affondare questo cappello ci si serve di bastoni muniti di pioli che si chiamano "follatori" oppure si dispone sulla parte superiore del tino un graticcio di listelli di legno. Nelle grandi vasche di fermentazione si usa il sistema del cappello emerso perché il recipiente ha un soffitto, quindi non è scoperto.
La fermentazione alcolica viene divisa in due periodi: fermentazione tumultuosa e fermentazione lenta. La prima fa seguito alla pigiatura dell'uva e va fino alla svinatura; la «lenta» prosegue poi fino alla completa trasformazione degli zuccheri in alcol. 
La svinatura è l'operazione che permette di separare le vinacce dal mosto fermentato che si avvia a diventare vino; il prodotto che se ne i ottiene viene chiamato «vino fiore».

(Continua con L'uva e il vino (Parte sesta): Come si fa il vino #2/2)

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