Corso di Recupero per Astemi #6

Un po' di storia (Parte Quarta) 

Molto importante è il fatto che furono gli antichi abitatori etruschi ad introdurre l'uso del vino «pretto», cioè naturale, mentre Greci e Romani lo pasticciavano con aggiunta non solo di acqua, ma di infusi vari di erbe, con miele ed altre sostanze dolcificanti. Non dimentichiamo che allora non esisteva lo zucchero e quindi si ricorreva ad assumerlo non solo con le sostanze alcolico-zuccherine contenute nel vino, ma anche con l'aggiunta di sostanze ricche di zuccheri, come il miele. Una terapia inconscia, se vogliamo, ma efficace, poiché l'organismo ha bisogno di una certa quantità di zuccheri per la sua perfetta funzionalità. 
I visitatori dei musei etruschi, come quello bellissimo di Volterra, o delle necropoli con le pareti affrescate di Tarquinia e di Cerveteri, per esempio, non mancheranno di notare scene che hanno attinenza con la mescita del vino o con altre cerimonie enoiche. Quasi per dare ragione in anticipo a quanto affermava, lo scrittore latino di agricoltura Lucio Columella, in uno stile chiaro e comprensibile a tutti, asseriva: "Ciò che può piacere per i suoi pregi naturali è certamente superiore  a tutto" (e intendeva riferirsi al vino schietto, prodotto con i manipolatori di vini trattati non solo con sostanze vegetali, ma anche minerali.
Dal porto di Rosellae, ancor prima che fosse attivato il porto romano alle foci del Tevere, alle spalle di Grosseto (che allora non esisteva), partivano le barche per il trasporto del vino etrusco verso lidi anche assai lontani. Le anfore venivano ingegnosamente sigillate con stucco e con tamponi imbevuti d'olio. Fatta salva la leggenda di Noè, si può ben dire che il vino etrusco è stato, in realtà, uno dei più antichi del mondo. Una delle prove più certe della familiarità del popolo etrusco con il vino è il coperchio di un'urna volterriana in cui è scolpita la rappresentazione di un banchetto: una mensa riccamente imbandita e da un lato un ampio cyathus (cratere) che può essere considerato un antenato del fiasco toscano. 
Durante i banchetti, come riferiscono gli studiosi della materia, gli Etruschi avevano l'usanza di spargere il vino sul pavimento come segno augurale e, per ingraziarsi gli dei, lo versavano sul fuoco delle are. 
Tale usanza era definita «libagione», nome rimasto col significato di abbondante bevuta. In quanto al nome Chianti, che venne alcuni secoli dopo, esso deriverebbe dal latino clangor, ossia squillo di tromba o grido festoso di uccelli, cioè relativo ad una contrada che era ricoperta di selve e molto spesso percorsa da bande in arme. Però il primo documento che menziona esplicitamente il vino Chianti è del 1398 e consiste in una registrazione contabile comparsa nei libri della «Compagnia del Banco» di Francesco Datini (l'inventore della cambiale): accanto alla partita di vino Chianti compare il relativo prezzo in fiorini.

(Continua con "Un po' di storia" Parte Quinta)

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