Un po' di storia (Parte Quinta)
All' epoca dei re di Roma e durante la Repubblica, i Romani non furono estimatori del vino. Essendo di abitudini sobrie, spartane o anche più, conoscevano poco i vini e solo qualcuno li beveva, importandoli dalla Grecia. I pochi vini che si producevano erano decisamente rustici rispetto ai nettari raffinati che volevano rivaleggiare con l'ambrosia bevuta dagli dei dell'Olimpo.
Plinio il Vecchio, il più insigne naturalista dell'antichità, non può non essere citato in una storia del vino, non solo perché se ne occupò a fondo, ma anche perché lo fece in modo critico. Infatti considerava il Falerno, ritenuto il vino con il maggior blasone, troppo aspro e forte prima di dieci anni di invecchiamento. Egli classificò minuziosamente ben 195 vini, citando quelli che avevano raggiunto autentica notorietà, comprendendo non solo i vini italiani, ma anche quelli sparsi in tutti i Paesi dell'impero. Di questi vini, 80 erano considerati di alta qualità e i restanti di tipo meno pregiato. Al commercio romano del vino, non meno importante della produzione, attendevano i mercatores vinarii. All'antico Portus Vinarius, costruito da Traiano alle foci del Tevere, in un vasto bacino interno collegato con il mare, esisteva un apposito scalo, con annesse cantine di smistamento e sale per le contrattazioni. Le navi arrivavano e partivano colme di anfore e orci di tutti i tipi. I Romani, prima ancora della conquista della Gallia, esportavano molto vino nei porti che si affacciavano sul Mediterraneo, valendosi di velieri tondi e piatti, detti corbitae. Molti di questi battelli, anche recentemente, sono stati ritrovati in perfette condizioni sul fondo del mare. Uno di essi, affondato presso la costa della Gallia nel 240 a. C., era, come si è potuto stabilire, di proprietà di un certo Marcus Sextus e trasportava vini greci imbarcati a Delo, ma aveva poi fatto scalo all'attuale Fiumicino per caricare una seconda partita di vini laziali. La nave conteneva un migliaio di anfore e alcune di esse, dopo il recupero del relitto, conservavano ancora un liquido giallastro, ossia i residui di un vino di oltre 2000 anni fa: erano state tappate con somma cura con blocchi di creta e sigillate ancor meglio.
E' curioso ricordare che anche allora, fra gli scandali dell'Urbe, c'era di mezzo il vino. Gli annali hanno ricordato il clamore suscitato da un'azione di incetta del vino su vasta scala operata da una lega che agiva con metodi scorretti, per non dire brutali, ossia un trust vero e proprio del vino che danneggiava i produttori e i consumatori. Con speciali norme si provvide a tutelarne e a liberalizzarne sia la produzione che il commercio. Per ogni competenza attinente a questa sempre delicata materia c'era il Forum Vinarium, o centro internazionale degli scambi per il vino, come si direbbe adesso.
(Continua con "Un po' di storia" Parte Sesta)
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