Corso di Recupero per Astemi #116

Il vino 100 domande e 100 risposte #66

Che cosa significano le sigle v.q.p.r.d. e D.O.C.?

La sigla v.q.p.r.d., adottata in tutta la CEE, significa vino di qualità prodotto in regione determinata e comprende i vini D.O.C. e D.O.C.G.
La sigla D. O. C. (o d.o.c.) significa denominazione di origine controllata; v.s.q.p.r.d. significa vino spumante di qualità prodotto in regione determinata.
Questi vini di qualità sono stati istituiti con la Legge 12/7/1963 n° 930, secondo cui "per denominazione di origine dei vini s'intendono i nomi geografici e le qualificazioni geografiche delle corrispondenti zone di produzione, accompagnati o non con i nomi di vitigni o altre indicazioni usate per designare i vitigni che ne sono originari e le cui caratteristiche dipendono essenzialmente dai vitigni e dalle condizioni naturali di ambiente".
Per ogni vino di qualità vi è un disciplinare di produzione che contiene notizie generali e il decreto di riconoscimento della denominazione di origine; questo in particolare definisce: 
— la delimitazione della zona di produzione; 
— la varietà (o le varietà) di uva dalla quale si ottiene il vino;
— le pratiche colturali che si devono e quelle che si possono attuare;
— il metodo di vinificazione;
— il grado alcolico naturale minimo dell'uva;
— il rendimento per ettaro;
— colore, odore e sapore del vino;
— acidità totale minima;
— grado alcolico complessivo minimo.
In Italia le D.O.C. sono più di 200 e riguardano 01tre 500 vini; si tenga infatti presente che con una stessa denominazione ci possono essere più vini (per esempio: con la denominazione Franciacorta vi sono il vino rosso e il Pinot; con la denominazione Parrina vi sono un vino rosso e un vino bianco; con la denominazione Trentino vi sono 11 vini, ecc.). Almeno una volta ogni 3 anni i vini D.O.C. devono essere controllati da una Commissione di degustazione.

Corso di Recupero per Astemi #115

Il vino 100 domande e 100 risposte #65

Che cosa vuol dire vino da tavola?

Il vino da tavola è, fra quelli prodotti, il meno pregiato, pur potendo avere elevate caratteristiche qualitative; circa il 90% del vino italiano appartiene a questa categoria.
Questo tipo di vino deve essere prodotto solo con varietà di uve previste dalla CEE e prescritte dall'Albo provinciale; per ogni provincia esiste infatti un elenco di vitigni considerati particolarmente adatti per quel determinato ambiente (vitigni raccomandati) e un elenco di vitigni ritenuti adatti (vitigni autorizzati).
Inoltre il vino da tavola deve essere prodotto nel territorio della CEE, avere almeno 9 gradi alcolici effettivi e non più di 15 complessivi (fino a 17 gradi se contiene almeno 5 g/I di zucchero), e un'acidità totale non inferiore a 4,5 g/l.

Corso di Recupero per Astemi #114

Il vino 100 domande e 100 risposte #64

Come sono classificati i vini secondo la legge?

I vini, secondo la legislazione nazionale e comunitaria, sono suddivisi in quattro categorie:
- vino da tavola (fino a qualche anno fa la dicitura era vino da pasto);
- vino da tavola con indicazione geografica o di vitigno;
- vino di qualità: a denominazione di origine controllata e a denominazione di origine controllata e garantita;
- vini speciali: mistelle, vini liquorosi, vini aromatizzati, vini spumanti,
I vini tipici sono, verosimilmente, di prossima adozione e saranno, con ogni probabilità, classificati come vini da tavola aventi un'indicazione geografica o un nome di uno o due vitigni.

Corso di Recupero per Astemi #113

Il vino 100 domande e 100 risposte #63

Come vanno disposte le bottiglie in cantina?

Appena il vino è imbottigliato, le bottiglie devono essere tenute in posizione verticale per permettere al tappo di sughero di espandersi tanto quanto gli consente la sua elasticità, Maggiore è l'espansione e nore è lo spazio fra tappo e vetro (collo della bottis glia), fino ad assicurare una chiusura praticamente metica. Se c'è un minimo spazio fra tappo e vetro il vino sarà soggetto alle ossidazioni e a un precoce in. vecchiamento a causa dell'entrata di aria e di microrganismi.
Dopo due settimane le bottiglie vanno disposte in posizione orizzontale, in modo che il vino tenga il tappo costantemente umido e quindi dilatato; altrimenti nel giro di poco tempo il tappo si disseccherebbe (tanto più rapidamente quanto più asciutta e calda è la cantina). Il tappo sano non comunica odore e sapore al vino, mentre se non è sano trasmette al contenuto il proprio odore (o odore di muffa) anche se la bottiglia è in posizione verticale e il sughero non è bagnato dal vino.
Succede a volte che il vino defluisca dalle bottiglie coricate (è la cosiddetta colosità) a causa di anomale composizioni del tappo; si tratta comunque di tappo difettoso.

Corso di Recupero per Astemi #112

Il vino 100 domande e 100 risposte #62

E' importante il tappo per la conservazione del vino?

Diciamo che il tappo è fondamentale per la corretta conservazione del vino. Lo scopo primo del tappo è quello di assicurare una chiusura pressoché ermetica della bottiglia, in modo da isolare il vino dall'aria.
Il tappo deve essere inerte, cioè non deve interagire con il vino, pena la formazione di composti dall'odore e dal sapore estranei. Il materiale più adatto per soddisfare le esigenze predette è senza dubbio il sughero, il cui uso come chiusura delle bottiglie di vino si fa risalire al monaco francese Dom Perignon (cui viene pure attribuita, generalmente, l'invenzione dello Champagne). Il sughero è ricavato dalla corteccia di una quercia (Quercus suber) dell'età di almento 8 anni. Se la quercia è più giovane fornisce tappi non sufficientemente elastici, con venature grosse e profonde, e con una costituzione chimica che conferirà odori e sapori estranei al vino.
Un buon tappo deve avere un diametro di 0,25 cm almeno, deve avere una lunghezza non inferiore a 4 cm e pesare più di 4 g. Prima dell'uso il tappo deve essere immesso in una soluzione di anidride solforosa per garantirne la sanità. Alla tappatura del vino spumante si prestano particolarmente i tappi costituiti da più pezzi, i quali si dimostrano più resistenti alla pressione esercitata dall'anidride carbonica.

Corso di Recupero per Astemi #111

Il vino 100 domande e 100 risposte #61

Perché non si deve imbottigliare il vino subito dopo il trasporto?

È a tutti noto che un vino proveniente da un trasporto all'assaggio risulta piatto, molle, senza nerbo. Il fatto è spiegabile con la fuoruscita di una parte del gas anidride carbonica (si tenga presente che anche il vino non effervescente contiene sempre una certa dose di questo gas). Il gas esce a causa dello sbattimento cui è soggetto il vino durante il trasporto.
Peraltro il difetto che si constata è provvisorio, in quanto se il vino è lasciato a sé, nel volgere di pochi giorni riprende l'anidride carbonica dall'atmosfera fino a ripristinarne la quantità originaria, che gli conferisce la freschezza e la vivacità di partenza.

Corso di Recupero per Astemi #110

Il vino 100 domande e 100 risposte #60

Quando si imbottiglia?

Regola fondamentale è quella di non imbottigliare durante le giornate fredde e ventose; bisogna, a questo riguardo, tenere presente che l'aria si scioglie maggiormente nel vino proprio a bassa temperatura... e l'aria è il nemico numero uno del vino!
Se un vino è di pronta beva, cioè esprime il meglio di se stesso quando è giovane, occorre imbottigliarlo entro l'anno, vale a dire nella primavera o nell'autunno successivi alla vendemmia. È più adatta la primavera se si vuole ottenere un vino con una certa effervescenza; infatti un pur minimo residuo zuccherino ancora presente nel vino sarà fermentato dai lieviti in bottiglia, ma l'anidride carbonica che si sviluppa dal processo fermentativo rimarrà imprigionata nel vino, essendo la chiusura piuttosto ermetica.
Per quanto riguarda invece i vini che hanno già subìto due o più anni di conservazione (o invecchiamento, come si suol dire) non ha importanza il periodo dell'imbottigliamento, mentre sono sempre da evitare le giornate fredde, piovose, ventose.
Si preferisce imbottigliare in fase di luna calante (specialmente in coincidenza della luna nuova di primavera) poiché tale circostanza coincide con la ripresa dell'attività dei microrganismi nel vino; imbottigliando in questo periodo i lieviti e i batteri restano frenati dal fatto che in bottiglia c'è pochissima aria e dall'assenza del deposito feccioso, che costituisce un alimento per i microrganismi. Inoltre in concomitanza della luna nuova si nota che aumenta il livello del vino in damigiana, per poi ridiscendere durante la fase di luna calante. Quindi, se si imbottigliasse in fase di luna nuova, il livello del vino in bottiglia scenderebbe per esempio dai 3 ai 4 cm di distanza dal tappo, lasciando conseguentemente troppo spazio tra vino e tappo.

Corso di Recupero per Astemi #109

Corso di Recupero per Astemi #109

Come s'imbottiglia il vino?

Bisogna prima di tutto precisare che l'imbottigliamento del vino è un sistema di conservazione dello stesso oltre che un mezzo di miglioramento organolettico. In sostanza lo scopo primo è quello di preservare il vino dai deleteri fenomeni ossidativi che lo invecchiano anzitempo o comunque precocemente. Quindi la prima regola da tenere presente quando si procede all'imbottigliamento è quella di limitare il contatto del vino con l'aria.
Oltre che allontanare il momento dell'invecchiamento, o meglio della decrepitezza, l'esclusione dell'aria consente la formazione di nuovi profumi e sapori e facilita la conservazione di altre pregiate caratteristiche. Per raggiungere questi scopi occorre far entrare poca aria nella bottiglia, il che è possibile operando una disaerazione della bottiglia prima dell'imbottigliamento ed eventualmente un'aggiunta di azoto (o di anidride carbonica per i vini frizzanti, o una miscela di questi due gas) che, essendo un gas inerte (cioè che non reagisce col vino), non comporta cambiamenti di odore e sapore, ma esclude la presenza dell'aria.
Un altro modo per imbottigliare a regola d'arte è quello di trattare le bottiglie con una soluzione di anidride solforosa, che elimina l'aria dalla bottiglia, dopo di che si fa sgocciolare la bottiglia e poi vi si immette il vino.
Trattandosi di vino di consumo corrente, si può procedere all'imbottigliamento a caldo, che consiste nel riscaldare il vino a 75-80 °C per 15 secondi e poi procedere all'imbottigliamento quando la temperatura è di circa 50-60 °C; in questo modo viene eliminata la camera d'aria tra pelo liquido e tappo.

Corso di Recupero per Astemi #108

Il vino 100 domande e 100 risposte #58

Quali difetti si riscontrano più frequentemente nel vino?

I difetti del vino sono anomalie che riguardano le caratteristiche organolettiche, in particolare l'odore e il sapore. I più frequenti difetti sono:
— odore di uova marce, conferito dall'acido solfidrico che si forma nel mosto in fermentazione, a partire dall'anidride solforosa, a causa della mancanza di ossigeno (cioè dell'ambiente riducente). In genere con i primi travasi questo odore estraneo sparisce, ma se necessario si arieggia appositamente il vino;
— odore e sapore agliaceo, prodotto dall'acido solfidrico che ha reagito con l'alcol; questo difetto si riscontra quando non si è intervenuti in tempo per eliminare il difetto precedente. Non è curabile;
— odore di feccia, dovuto all'eccessiva permanenza del vino sui propri depositi fecciosi; come prevenzione occorre effettuare tempestivamente i travasi, mentre come cura si arieggia il vino ed eventualmente lo si tratta con carbone attivo;
— odore di tappo, che dipende dall'impiego di tappi provenienti da quercia giovane o da corteccia avariata, oppure dalla presenza di microrganismi che si sono sviluppati nel sughero in un qualsiasi momento della produzione del tappo;
— odore e sapore di carta, comunicato al vino dai cartoni filtranti di cellulosa; il difetto in questione è prevenuto filtrando un po' d'acqua prima del vino; se come cura non è sufficiente un arieggiamento, occorre ricorrere al carbone attivo;
— sapore di rancido, dovuto all'incauto impiego di olio di oliva (non previsto dalla legge) quale impermeabilizzante per il tappo o per proteggere il vino dall'aria nella damigiana;
— sapore di lisciva, che dipende dal contatto del vino con recipienti di cemento oppure da trattamenti disacidificanti effettuati con carbonato di calcio; può essere curato addizionando al vino acido tartarico o acido citrico;
— sapore di topo, dovuto allo sviluppo di lieviti Brettanomyces, che formano l'acetamide;
— sapori metallici, che derivano dal contatto del vino con attrezzature metalliche o da residui di sostanze antiparassitarie; sono curabili con il carbone attivo.
La legge della CEE permette l'aggiunta al vino di solfato di rame (massimo 20 mg/l) per eliminare i difetti di odore e sapore, purché detto sale non sia già stato utilizzato per il trattamento delle viti.

Corso di Recupero per Astemi #107

Il vino 100 domande e 100 risposte #57

Che cosa succede durante l'invecchiamento del vino?

In enologia il termine invecchiamento è solitamente impiegato per significare che un vino è stato da uno a più anni in botte. Più correttamente bisognerebbe parlare prima di affinamento e poi di conservazione, nonché, al limite, di invecchiamento quando il vino è in bottiglia. Infatti il vino, appena svinato, migliora le proprie caratteristiche organolettiche riposando al buio e al fresco della cantina per un determinato periodo, che dipende dal vitigno e dall'annata. Per esempio il vitigno Nebbiolo è assai adatto a sopportare vari anni di permanenza in botte, anzi durante questo periodo si affina e migliora, mentre i vini bianchi (se si escludono i vini passiti e poche altre eccezioni) devono essere consumati entro l'anno o al massimo due anni, in modo che siano conservati la loro freschezza e il loro fruttato.
Nel 1972, per esempio, non venne prodotto il Barolo poiché l'andamento climatico fu tanto sfavorevole da non consentire una buona e completa maturazione dell'uva e perciò non fu possibile ottenere vino di qualità... furono gli stessi produttori a non richiedere che il loro vino fosse chiamato Barolo!
I vini per poter resistere all'invecchiamento e addirittura migliorare nel tempo devono possedere una buona struttura di base, cioè avere un buon livello di acidità (7-8%), una sufficiente gradazione alcolica (almeno 12°) e un'elevata quantità di estratto, cioè di corpo (specialmente per quanto riguarda il tannino). Il legno delle botti cede sostanze che migliorano l'odore e il sapore del vino, così come una certa permanenza in bottiglia favorisce la formazione di alcuni composti che possono originarsi solo nell'ambiente riducente (cioè privo o quasi d'aria) della bottiglia. Durante l'invecchiamento del vino si verificano cambiamenti a carico del colore (che assume toni più morbidi), della limpidezza (che aumenta progressivamente), del profumo (grazie alla formazione di esteri ed eteri) e del sapore (in virtù della diminuzione di acidità e della formazione di nuove sostanze).

Corso di Recupero per Astemi #106

Il vino 100 domande e 100 risposte #56


Quali malattie si possono sviluppare nel vino tenuto a riparo dall'aria?

Fuori dal contatto dell'aria si possono sviluppare le malattie dette anaerobe o anaerobiche: girato, filante, agrodolce, amaro.
Il girato (o subbollimento) si manifesta in genere d'estate, su vini poco acidi ove alcuni batteri (per esempio: Bacterium tartarophtorum) attaccano l'acido tartarico prima e gli altri acidi poi, oltre a vari composti non acidi, formando soprattutto acido acetico e acido lattico. La malattia si riconosce per lo scolorimento del vino rosso e per l'incupimento del vino bianco, come pure per lo sviluppo di bollicine gassose (specialmente in seguito a sbattimento del vino nel bicchiere). All'olfatto e al gusto si avverte una sensazione acetosa e putrefacente. Come prevenzione si consiglia di effettuare tempestivamente i travasi; come cura è necessario pastorizzare, rifermentare e solfitare.
Il filante (o grassume) si verifica soprattutto nei vini bianchi, contenenti ancora un certo residuo zuccherino, di cui si nutrono alcuni batteri (per esempio: Bacterium viscosus Vim) con formazione di sostanze mucillaginose. La malattia è riconoscibile nel versare il vino dal bicchiere, poiché si nota che il liquidofila come l'olio, essendo divenuto più viscoso e torbido; inoltre assume un retrogusto acre e rancido. Come prevenzione conviene esaurire gli zuccheri con una fermentazione completa. Per curare un tale vino occorre rompere la massa mucillaginosa con un energico sbattimento e poi chiarificare e filtrare; indi si pastorizza e si aggiunge anidride solforosa; eventualmente si può procedere alla rifermentazione.
L'agrodolce (o fermentazione mannitica o spunto lattico) è una malattia che si manifesta più frequentemente sul mosto o nel vino che contiene ancora dei residui zuccherini, quando la temperatura è superiore a 37° C. In questa condizione i lieviti restano inibiti, mentre i batteri (per esempio: Bacterium mannitopheum) si sviluppano a loro agio, demolendo gli zuccheri e formando vari composti, fra i quali prevale la mannite. Il vino affetto da questa malattia si presenta con riflessi sericei e ha un sapore agro (dato dagli acidi) e dolce (dato dalla mannite) che ricorda la frutta stramatura e vagamente acetosa. Come prevenzione è sufficiente contenere la temperatura, mentre la cura è possibile solo nei primissimi stadi mediante pastorizzazione, rifermentazione e solfitazione.
L'amaro (o amarore) è una malattia che si verifica sui vini rossi, vecchi, ove alcuni batteri (per esempio: Bacillus amaracrylicus) attaccano la glicerina, formando aldeide acrilica legandola ai polifenoli. Il vino si presenta torbido, decolorato, con un netto gusto amaro. Come prevenzione occorre effettuare tempestivamente i travasi. Come cura vale il solito procedimento: pastorizzazione, rifermentazione e solfitazione.

Corso di Recupero per Astemi #105

Il vino 100 domande e 100 risposte #55

Quali malattie si possono sviluppare nel vino a contatto dell'aria?

Le malattie che si sviluppano a contatto dell'aria sono dette aerobe o aerobiche e sono: fioretta e spuntoacescenza.
La fioretta è una malattia causata da particolari lieviti (Hansenula, Pichia, ecc.) che si sviluppano rapidamente su vini deboli conservati in recipienti non ben colmi o non sufficientemente protetti dall'anidride solforosa. Questa malattia è facilmente riconoscibile poiché sul vino si forma una massa bianca, che pare un insieme di fiori, formata dal corpo (micelio) dei lieviti. Nei primi stadi la fioretta non è molto dannosa in quanto una parte di alcol è stata trasformata in acqua e anidride carbonica, senza formazione di composti maleodoranti, ma più avanti, procedendo questa trasformazione, il vino diventa disarmonico e piatto e si nota anche la demolizione di alcuni acidi. In fase avanzata il vino è recuperabile solo previa pastorizzazione, eventuale rifermentazione e poi protezione con anidride solforosa. Le pastiglie di isosolfocianato di allile (o essenza di senape) immesse a galleggiare sul vino in damigiana o botte costituiscono una barriera preventiva molto efficace per questa malattia, così come per la seguente.
Lo spunto è il primo stadio di una malattia causata da batteri (tipo Acetobacter) nel vino a contatto dell'aria. La malattia si presenta con un velo iridescente e viscido sulla superficie del vino, che all'olfatto risulta pungente. Infatti i batteri demoliscono l'alcol etilico formando acido acetico (il quale forma poi acetato d'etile). Quando la malattia è in una fase avanzata, cioè quando si è formato molto acido acetico (e acetato d'etile), è più adatto il termine acescenza, poiché si ha la netta impressione di essere in presenza di aceto.
Se la malattia è agli stadi iniziali, si può cercare di curarla facendo rifermentare il vino con un'aggiunta di mosto sano e di lieviti selezionati; queste operazioni devono essere però precedute da una pastorizzazione e sempre seguite da una consistente aggiunta di anidride solforosa. Se il vino è ormai acescente, la legge ne vieta la cura e pertanto si deve inviare alla distilleria o all'acetificazione in apposite aziende.

Corso di Recupero per Astemi #104

Il vino 100 domande e 100 risposte #54

Perché il vino si può ammalare?

A meno che non sia stato pastorizzato, il vino contiene microrganismi che possono manifestare la loro presenza attaccando zuccheri e acidi. Se lieviti e/o batteri riprendono la loro attività, oltre a provocare intorbidamento causano vere e proprie malattie. Evidentemente occorre agire soprattutto preventivamente, curando l'igiene dei locali, dei contenitori vinari e degli attrezzi.
I vini più soggetti ad ammalarsi sono quelli cosiddetti deboli, cioè i vini poco acidi, poco alcolici e poco tannici; altre caratteristiche dei vini facilmente preda dei microrganismi sono la presenza di zuccheri e di sostanze azotate, cioè di quei composti che costituiscono l'alimento dei lieviti e dei batteri. La feccia che si forma costantemente nel vino è pure un substrato particolarmente adatto allo sviluppo dei microrganismi; quindi si rivelano assai utili i travasi fatti per tempo.
Per quanto concerne la cura delle malattie, occorre innanzi tutto distruggere i microrganismi mediante opportuna pastorizzazione, poi eventualmente far rifermentare il vino (con un'aggiunta di mosto) in modo da eliminare odori e sapori anomali e infine procedere a un'aggiunta di anidride solforosa per proteggere adeguatamente il vino.
Se non s'intende curare il vino, oppure se non è più recuperabile, lo si invia alla distilleria, ma prima di compiere quest'operazione occorre immettervi 10 g/q di cloruro di litio come rivelatore (cioè per rivelare che la partita di vino in oggetto è destinata alla distilleria); se il vino è destinato alla produzione di acquavite non è necessaria l'aggiunta del rivelatore.

Corso di Recupero per Astemi #103

Il vino 100 domande e 100 risposte #53

Perchè a volte si pastorizza il vino?

La pastorizzazione è una pratica stabilizzante nei confronti degli intorbidamenti provocati dai microrganismi e dagli enzimi.
Questa pratica consiste nel riscaldare il prodotto a temperatura di 75 - 80° C per 15 secondi. La pastorizzazione può essere effettuata sul vino prima dell'imbottigliamento oppure si può pastorizzare il vino già imbottigliato.
Per quanto riguarda il vino spumante, è molto seguita una specie di pastorizzazione detta inattivazione termica, che consiste nel riscaldare lo spumante imbottigliato alla temperatura di 40° C per 2 ore; è questo un sistema ideato da Carpené nel 1936. Simile a quello ora citato è il sistema Paronetto, che prevede un riscaldamento a 40 - 42° C per 72 ore; con questa tecnica sembra che i lieviti vengano lisati e pertanto dalle cellule fuoriescono sostanze che trasmettono al vino un odore gradevole.
La tecnica che sembra dare i migliori risultati, sia nella distruzione di microrganismi ed enzimi sia nel non ingenerare odore e sapore di cotto e incupimento del colore, è quella della pastorizzazione lampo, che consiste nel riscaldare il vino a 105 - 110° C per qualche secondo.

Corso di Recupero per Astemi #102

Il vino 100 domande e 100 risposte #52

Quando viene impiegata la centrifugazione in enologia?

La centrifugazione è in sostanza una tecnica applicata al mosto per ottenere una sfecciatura adeguata e rapida; è pure applicabile al vino per conseguire un rapido seppur grossolano illimpidimento,
Di fatto, quando il vino è sottoposto all'azione della forza centrifuga (4000 + 5000 giri al minuto), ne vengono separate le particelle più pesanti come i residui fecciosi, cioè le particelle che hanno peso specifico superiore a quello del vino. Tuttavia questa limitazione viene superata aggiungendo al vino, prima di centrifugarlo, un chiarificante. La tecnica in questione è anche impiegata in sostituzione della filtrazione sul vino sottoposto al collaggio.
Una particolare e caratteristica applicazione della centrifugazione è quella sul mosto del Moscato; in questo caso viene alternata alla filtrazione, con lo scopo di separare dal mosto (o dal vino) la maggior parte dei lieviti e delle sostanze azotate, rendendo il prodotto infermentabile.

Corso di Recupero per Astemi #101

Il vino 100 domande e 100 risposte #51

A quale scopo si filtra il vino?

Mediante la filtrazione si consegue rapidamente 1a limpidezza e perciò si può porre con un certo anticipo in vendita il vino. La filtrazione si rende necessaria anche per separare i depositi formatisi in seguito ai trattamenti collanti.
Il filtrato dolce è un mosto ottenuto previe ripetute filtrazioni.
I filtri possono agire per:
— setacciamento: cioè vengono trattenute nel filtro tutte le sostanze del vino le cui dimensioni sono superiori a quelle dei pori presenti nel filtro;
— adsorbimento: sono trattenute le sostanze del vino la cui carica elettrica è opposta a quella del filtro; — ritenzione in profondità: vengono trattenute particelle anche più piccole dei pori del filtro, in quanto restano intrappolate tra i meandri costituiti dall'intreccio delle fibre costituenti il filtro.
Per aumentare la capacità di filtrazione, ottenere la costanza del flusso, favorire la rimozione del deposito e la riattivazione del filtro, si impiegano dei coadiuvanti o ausiliari di filtrazione; si tratta di sostanze inerti dal punto di vista chimico (che pertanto non reagiscono col vino), quali filtrina o farina fossile, perlite, cotone, cellulosa, ecc.
I tipi di filtrazione effettuabili sono diversi a seconda dello scopo prefisso:
— sgrossante o sfecciante: è la filtrazione praticata sui vini giovani e ricchi di sostanze intorbidanti;
— ad alluvionaggio: è una filtrazione adatta per illimpidire grandi quantità di vino;
— brillantante: ha lo scopo di rendere il vino limpidissimo (cioè brillante), avvalendosi di strati filtranti costituiti da cartoni di cellulosa; è in genere applicata su vino già filtrato ad alluvionaggio con farina fossile; — sterilizzante o microporosa: è una filtrazione che ha lo scopo di eliminare dal vino tutti i microrganismi che vengono trattenuti dai piccolissimi pori del filtro (inferiori a 1 nm).
Di recente concezione sono l'ultrafiltrazione e la filtrazione tangenziale, con le quali vengono trattenute anche alcune proteine e una parte di polifenoli, con buona resa di filtrazione.
Il vino filtrato risulta stanco, spento, a causa di perdita di anidride carbonica e dell'inglobamento di aria; tuttavia si tratta di un difetto transitorio che scompare nel giro di 1 o 2 giorni, in quanto il vino si arricchisce naturalmente di una certa quantità di anidride carbonica presente nell'aria.

Corso di Recupero per Astemi #100

Il vino 100 domande e 100 risposte #50

Che cosa s'intende per collaggio o chiarificazione?

Il termine collaggio deriva dal francese collage, cioè aggiunta di un composto avente natura collosa, vale a dire colloidale. Chiarificare il vino significa rendere il vino limpido mediante aggiunta di un collante (o chiarificante); in pratica quindi collaggio e chiarificazione sono sinonimi.
Sostanzialmente la pratica del collaggio consiste nell'immettere nel vino una sostanza colloidale di carica elettrica opposta a quella della sostanza che nel vino è causa di intorbidamento. Le due sostanze (quella del vino che provoca intorbidamento e quella aggiunta), avendo segno opposto, si attraggono reciprocamente, flocculando e precipitando. Un travaso e una filtrazione separeranno il deposito dal vino.
Per asportare dal vino i colloidi a carica positiva si aggiungono la bentonite, oppure il caolino o la silice colloidale o il tannino. Per asportare i colloidi a carica negativa, i collanti impiegati sono la colla di pesce (o ittiocolla), la caseina (o, meglio, caseinato potassico), l'albumina, la gelatina, il sangue di bue defibrinato e inoltre un tipo di silice colloidale avente carica positiva.
La gomma arabica è adatta a prevenire ogni tipo di intorbidamento colloidale in quanto avvolge le singole particelle (micelle) di colloide e non ne consente la reciproca attrazione, evitando quindi la loro flocculazione e il deposito; si dice che la gomma arabica svolge azione di colloide-protettore.
Per i vini bianchi è particolarmente adatto il caseinato potassico.
Se il collante aggiunto al vino è in leggero eccesso rispetto al necessario, si formerà un intorbidamento causato da questo sovrappiù: è la cosiddetta ipercollatura o surcollaggio (facilmente verificabile nei vini bianchi, praticamente privi di tannino, trattati con gelatina). Per evitare questo inconveniente, è consigliabile aggiungere una piccola dose di tannino o bentonite prima di aggiungere i chiarificanti tipo albumina, gelatina, colla di pesce.

Corso di Recupero per Astemi #99

Il vino 100 domande e 100 risposte #49

La limpidezza del vino può essere disturbata da colloidi quali proteine e tannini?

I colloidi sono sostanze che, date le loro notevoli dimensioni (in genere di 1 - 100 nm) e la presenza di cariche elettriche, non sempre lasciano il vino completamente limpido e trasparente. Quasi tutte le sostanze colloidali del vino presentano carica elettrica negativa, mentre le proteine assumono carica positiva.
In particolare i tannini possono provocare intorbidamento se si combinano con le proteine. Se il vino è sottoposto a bassa temperatura (4° C per 5 - 10 giorni) o ad alta temperatura (70° C per 2 ore o 30° C per alcuni mesi), le proteine vengono modificate nella loro struttura, cambiano conformazione, sono cioè denaturate. Così modificate, le proteine divengono facilmente coagulabili a opera del tannino; in pratica c'è un'attrazione reciproca dovuta alla carica positiva del colloide proteico e alla carica negativa del colloide tannico. Il deposito è costituito da piccoli granuli irregolari e amorfi.
La proporzione fra i due colloidi non è fissa: a bassa temperatura si ritrova una maggior quantità di proteine, mentre più il vino è acido maggiore è il deposito totale dei due colloidi.
Per verificare se il deposito è dovuto alle due SOStanze summenzionate, è sufficiente trattarlo con acido cloridrico, che è in grado di scioglierlo.

Corso di Recupero per Astemi #98

Il vino 100 domande e 100 risposte #48

Che cos'è la rottura o casse ossidasica?

E' un intorbidamento causato dalla vinificazione di uva botritizzata, cioè ammuffita a causa della Botrytis cinerea.
Il termine casse, ormai molto in uso, è francese e significa proprio rottura; si sottintende rottura del colore, infatti il vino si presenta iridescente con netto inscurimento della tonalità. L'agente della rottura del colore è un enzima (la laccasi) che ossida rapidamente e intensamente i polifenoli (specialmente i pigmenti coloranti) se l'ambiente è sufficientemente aerato: ecco perché il vino appena versato nel bicchiere può essere perfettamente limpido e cassare nel volgere di poco tempo, mezz'ora o anche meno.
Per cautelarsi da quest'alterazione, prima dell'imbottigliamento conviene procedere alla prova dell'aria, cioè lasciare un bicchiere di vino scoperto per 12 ore e vedere se in capo a tale tempo esso si altera o no. In caso di alterazione si rende necessario trattare tutto il vino con una buona dose di anidride solforosa, che svolge una funzione protettiva essendo un antiossidante.
I vini ossidati assumono un odore e un sapore che ricordano il vino Marsala e il vino Madera e perciò sono anche detti marsalati o maderizzati se l'ossidazione è spinta.

Corso di Recupero per Astemi #97

Il vino 100 domande e 100 risposte #47

In quali modi si possono prevenire i depositi salini?

Innanzi tutto occorre sapere che il bitartrato potassico precipita e deposita spontaneamente a mano a mano che procede la fermentazione alcolica, poiché l'alcol tende a rendere meno solubile il sale in questione.
Anche il freddo della cantina rende più insolubile il bitartrato, per cui, avanzando la stagione fredda che segue la fermentazione, il sale di potassio continuerà a depositare vieppiù. Per prevenire questi intorbidamenti in bottiglia ci si può avvalere di vari mezzi e sostanze: refrigerazione (—4 0C per 10 giorni), che fa depositare rapidamente tutto il bitartrato (che precipiterebbe lentamente) poi separato tramite travaso (e filtrazione); acido L tartarico, che si lega al potassio rendendolo molto insolubile per cui precipita rapidamente; acido metatartarico (massimo 200 mg/l), che impedisce tutte le precipitazioni essendo un anticristallizzante, cioè non consente che si formi il primo nucleo di cristallo del sale, per cui non si possono formare quelli successivi e tutto il sale rimane sempre disciolto; bitartrato di potassio, che messo nel vino funge da germe di cristallizzazione, per cui tutto il sale di potassio già presente nel vino, che precipiterebbe lentamente, precipita con rapidità, dopo di che viene separato mediante travaso e filtrazione.
I sali di calcio nel vino sono ancora più insolubili di quelli di potassio e ciò, specialmente nel vino bianco, comporta seri problemi. I recipienti di cemento non opportunamente rivestiti cedono vari mg di calcio. Le uve attaccate da muffa (Botrytis cinerea) cedono all'uva acido mucico che nel vino si lega al calcio, provocando gravi intorbidamenti. Il calcio non causa problemi se è contenuto in quantità inferiore a 50 mg/l. Per ovviare ai problemi provocati da questo elemento, il vino può essere trattato con: acido L tartarico, che scioglie il sale di calcio; acido tartarico racemico, che si lega al calcio formando un sale molto insolubile che precipita e può essere separato dal vino mediante travaso (e filtrazione) prima dell'imbottigliamento; acido metatartarico, come già detto.
Anche il ferro può provocare intorbidamento se presente in quantità superiore a 10 mg/l e se il vino è sottoposto a ossidazione, cioè ad arieggiamento eccessivo, si viene a formare il fosfato ferrico (biancastro — casse blu) o il tannato ferrico (nero violaceo casse bianca). Il rame invece, se presente in quantità superiore a 0,5 mg/l, provoca facilmente intorbidamento se il vino è in ambiente ridotto, cioè in assoluta mancanza di aria; in questo caso (in genere in bottiglia) si forma solfuro rameico, il quale conferisce un intorbidamento biancastro lattiginoso che a poco a poco precipita con deposito bruno-rosso (casse ramosa). Per prevenire o curare efficacemente gli intorbidamenti e i depositi dovuti a ferro e rame, il vino è addizionato di ferrocianuro potassico, che si lega ai due elementi in questione, formando un deposito; un travaso, con successiva filtrazione, consente di separare il vino dal deposito.